Potenza divina d’amore:
una vocazione alla santità per laici corresponsabili.

+ Domenico Sigalini

 Dio s’è fatto conoscere, Dio ha parlato, Dio ha mandato suo Figlio nel mondo per fare con noi i passi della vita. Si era scelto un popolo, che ha voluto allargare, un popolo senza confini, universale; il suo popolo è l’umanità; e come si è scelto una squadra impossibile di apostoli, così si è scelto tutta quell’umanità che sembra più specializzata nel farsi guerra che nell’amarsi. Ma non siamo stati abbandonati in questo mondo, né lasciati in balia del male e della nostra fragilità. Il progetto di fare del mondo il Regno di Dio Gesù lo persegue con tenacia. Muore in croce, risorge, apre il suo popolo all’universalità di tutta la terra e affida alla Chiesa la sua missione. Per orientare questa chiesa e ogni singolo credente ha mandato lo Spirito Santo che delinea in ogni credente i tratti della vita di Gesù. La chiesa è la comunione di tutti i credenti in Cristo, battezzati e trasformati dallo Spirito Santo in immagini viventi di Gesù Cristo.

Chiamati alla santità
 Questo significa che ogni cristiano, riempito di Spirito Santo è chiamato alla santità. Santità è vita piena, santità è libertà di dono, santità è abbandono nella braccia di un Dio che ti ama, santità è contemplazione di Dio, santità è cuore indiviso per qualcuno, santità è slancio del cuore, santità è decidersi per una causa, santità è pienezza d’amore, santità è Gesù che scorre nelle vene. Non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me, diceva San Paolo. Se questa è una immagine ancora molto sfocata della santità può benissimo coinvolgere i laici cristiani che hanno in cuore le radici profonde di una umanità rinnovata, poste nella loro vita da quell’immagine del creatore che ogni uomo e donna sono. Nella vita è importante non il che cosa, per che cosa vivere, che cosa fare, che cosa cercare, ma il chi. Per chi vivere, a chi donare, chi essere, per chi esistere. E’ solo una persona che riempie la vita non sono mai le cose. Lo aveva vissuto in profondità e come primissima esperienza di vita Adamo. Aveva avvertito la bellezza del creato, la reggia in cui Dio lo aveva collocato. Era rimasto estasiato dei doni sette volte belli di Dio. Le piante, i fuori, gli animali, il cielo stellato, la vastità dei mari, la dolcezza dei panorami, la tenera bellezza dei fiori. Ma io non trovo ancora niente che mi può appagare. E Dio gli regalò la donna, il “chi” di ogni inizio di felicità, la persona che riempie la vita. Ma anche questa persona però non è al’altezza della profonda sete dell’uomo. Soltanto Gesù Cristo, perché figlio di Dio, perché Dio, riempie la vita di felicità, toglie ogni nostro senso di vuoto, appaga la grande sete.

Spesso si pensa alla santità come a una rinuncia a vivere fino in fondo.
 Purtroppo è così. Ma è una fotografia della vita assurda. E’ come quando si presenta a un giovane ogni giorno la fatica degli allenamenti, lo stress dei piegamenti, degli esercizi ginnici ripetuti fino alla noia e mai il tempo affascinante di una gara, la soddisfazione di un goal, la fuga tra gli avversari e la conquista della vittoria, il rombo del motore che squarcia la ammorbante quiete della noia quotidiana, il sorpasso sorprendente in una curva con la moto piegata e radente al suolo, il colpo di reni dell’ultima bracciata davanti al traguardo, la fuga in solitaria sulla bici e il taglio del traguardo, il fotofinish con un volto spasimante che si distende in una gioia incontenibile.
 Proviamo a partire da qui e a rivedere alla moviola tutti i momenti precedenti, gli allenamenti, le prove, gli orari di vita, il contesto della preparazione, gli amici che t’aiutano, la mamma che in silenzio ti sostiene, la fidanzata o il fidanzato che ti accoglie, ti stimola e ti accetta, i tempi della tensione e dello sconforto, superati perché c’è una meta che non ti si cancella mai dalla mente, che sta sempre lì a darti adrenalina... E sto descrivendo solo uno sport. Ma la vita è nelle mani di Dio, santità è affidarsi a Dio. E’ un insulto pensarla a una rinuncia. Dio è la sorgente della vita, dell’amore e santità è tuffarsi in questa sorgente. Non siamo destinati a mendicare amore per le strade, ma a dare la vita per una persona.

Chi o cosa può aiutare i cristiani laici a fare “scelte di santità”?
 Una guida paziente decisa sicura, appassionata, capace di intuire i sogni di Dio sulla vita delle persone e di aiutare lentamente a comprenderli e ad attuarli. Oggi purtroppo sono pochissimi quelli che propongono a un credente la santità, il paradiso, la vita piena. Persone che osano proporre l’impossibile di Dio nei continui calcoli di sopravvivenza che tarpano le ali. Una comunità, o un gruppo di amici con cui si può parlare di santità senza essere continuamente richiamati al buon senso, che non è il massimo della saggezza umana, e una buona forza di decisione.
 Occorre andare a scuola da Gesù, guidati e resi puliti dentro dallo Spirito Santo. Gesù guarisce e consola, sfama e nutre, si colloca nella vita degli uomini e ne diventa il cibo, il sostegno, la forza. Nello stesso tempo, questo Gesù, così attento alle povertà e alle debolezze, è severo, deciso nel fare la proposta del Regno. Non vuole mezze misure, è travolgente con la sua passione e decisione. Il suo linguaggio non è per nulla accomodante, non è politicamente corretto.
 Qualcuno pensa che il buon senso dovrebbe addomesticare le affermazioni di Gesù. Occorrerebbe ogni tanto aggiungere alle sue “sparate” un “si fa per dire”.
 Va’ vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri poi vieni e seguimi! Si fa per dire.
 Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per i fratelli. Si fa per dire.
 Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me. Si fa per dire.
 È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Si fa per dire.
 No, non si fa proprio per dire. È così. E quando Gesù trova le nostre domande e le nostre riserve impaurite non comincia da attenuare come fa ogni pessimo educatore: sì, ma vedrai che poi non è proprio così come pensi, si trova sempre una via mediana, un compromesso. Gesù rincara la dose e provoca con un’altra domanda i suoi discepoli impauriti: volete andarvene anche voi?
 Ci provano in tre a presentare le loro tergiversazioni, le loro indecisioni a Gesù. Io ti seguirei... si sta bene con te. E’ un po’ che ti sento, ho visto quanto bene vuoi alla gente. Tu non ti lasci sopraffare dal dolore, ma lo vinci. E Lui: le volpi hanno tana e gli uccelli nidi, con me non c’è nessun loculo protettivo dove puoi stare tranquillo con il tuo stereo, la tua parabolica, il tuo fax, la tua mail e la tv a cristalli liquidi, il tuo cellulare, la tua automobile, la tua casetta...
 E l’altro: ti verrei dietro, ma fammi sistemare i miei affetti, non voglio rompere così di netto, non vorrei ferire. E Gesù: se hai deciso non continuare a voltarti indietro credi di fare il delicato, il sensibile, ma non t’accorgi che continui a rimandare, a lasciarti fasciare. Credi di decidere, ma continui a crearti alibi.
 E l’altro ancora: ho deciso di seguirti, ma prima devo seppellire mio padre. E Gesù: guarda che la cosa più importante è che tu dia la tua vita per incendiare il mondo non per stare ad aspettare gli eventi. Sei una sentinella del mattino o il becchino di un cimitero? Gesù è così. Non distrugge i sentimenti, ma non si adatta al buonismo. Non spegne il lucignolo, lo stoppino che fa fatica ad ardere, ma vuole radicalità; non gli vanno le mezze misure, le nostre melasse.
 Farsi santi è non aver paura della raffica di verbi di Gesù al giovane ricco della ricchezza della sua giovinezza che voleva tenere solo per sé: “va, vendi, regala, vieni e seguimi”.
 Questo obiettivo della santità voi lo volete raggiungere collocandovi in una associazione pubblica laicale chiamata Potenza divina d’amore, con lo scopo eminentemente spirituale di far conoscere, amare, glorificare lo Spirito Santo, affascinati e annunciatori della sua azione di vita, di verità, di giustizia e d’amore, facendovi discepoli e apostoli dello Spirito Santo.
 Punti di non ritorno o qualità imprescindibili per capire in maniera semplice ch significa essere associati così. Vi qualificate dandovi una struttura associativa per realizzare concretamente nel vivere quotidiano, negli impegni della vita, nei doveri professionali, nelle relazioni l’essere cristiani come sta scritto nel loro nuovo DNA impresso nel Battesimo, con la particolare qualità di essere docili discepoli e coraggiosi apostoli dello Spirito Santo.
 E' importante sapere di far parte di una associazione stabile, con tanto di mete, relazioni, stile di vita, processi formativi, volto visibile e riconoscibile, un mettersi assieme nel nome del vangelo.
 Avete ricevuto sia nel Battesimo che nella Confermazione, ma anche in tutti gli altri sacramenti lo Spirito Santo, vi siete lasciati affascinare dalla bellezza del vivere il vangelo entro tessuti di relazione ampi e vi date delle regole semplici, degli stili di preghiera, delle capacità aggregative per trasformare il fascino in una scelta calibrata, quotidiana, confrontabile, esprimibile ad ogni età o fase della vita.
 Non siete assolutamente cristiani per caso, ma lo siete perchè rispondete a una chiamata, che diventa progetto di crescita.
 Scoprite che essere credenti nel mondo di oggi esige darsi spazi stabili di scambio di vita, di allenamento ad assumere responsabilità, di progettazione di azioni, di compagnia fraterna. Da soli si è impotenti, assieme ci si aiuta e si rende presente Dio. Vi dovete allora allenare ad assumere responsabilità con tirocini severi di vita aggregata. Una associazione offre spazi precisi di responsabilità verificabili, azioni non estemporanee, ma pensate entro una progettualità. Occorre ridare vita ai cenacoli di preghiera che diventino cenacoli di ascolto della Parola, di confronto di dialoghi di santità.
 Vi accorgete che molti uomini e donne cercano un senso alla vita, voi ne avete intuito la strada per trovarlo e vi organizzate, vi confrontate, vi attrezzate per farlo incontrare a tutti. Valutate assieme le domande che giungono a ciascuno dalla propria esistenza, dal proprio posto di lavoro, dalle relazioni umane e, continuando a contemplare e invocare lo Spirito Santo, trovate assieme uno stile di vita altamente comunicativo della fede che vivete.
 Vi aiutate a vicenda a fare una lettura della realtà con i criteri del vangelo e la mettete a disposizione della chiesa e di tutti quelli che vogliono seguire Cristo e farsi infuocare dallo Spirito Santo.
 Avete capito che la vita sociale è complessa e che ha bisogno di un’anima. Solo che dare un’anima all’economia, alla vita sociale, alla cultura è impresa tipica di chi si costituisce secondo il vangelo come soggetto di scambio, di approfondimento, di aiuto, di comunione, come associazione appunto.
 Per essere propositivi nei confronti della società non si può andare in ordine sparso, ma occorre camminare assieme, avere strumenti di analisi condivisi, punti di vista maturati in una storia di impegno e di vita, una tradizione. Voi avete una piccola storia alle spalle, ma avete esempi e locuzioni di grande valore che vi possono sempre nutrire la vita interiore e dare slancio per dedizioni senza remore.
 Vi accorgete che molti ambienti vengono praticamente tagliati fuori dalla conoscenza di Gesù e vi attrezzano per condividere le ansie e le gioie, le ricerche e le fatiche di ogni ambiente e portarvi la bellezza del vangelo . la vostra associazione con i vostri cenacoli sono spazi di invocazione incessante dello Spirito e forza trainante per comunicarlo.
 Se siete cenacoli, se riproducete quella bella esperienza del giorno di Pentecoste, significa che amate la chiesa, le siete docili, per lei pregate, in essa vi riconoscete e con tutti collaborate.
 Potenza Divina D’amore, non sono i fissati di un’idea, cui tante volte riduciamo lo stesso Spirito Santo, ma i santi che lo Spirito Santo vuol forgiare e inviare.

Corresponsabili
Diceva papa Benedetto alla sua diocesi di Roma nel giugno 2009:
 “E questa apertura all'universalità si è realizzata nella croce e nella risurrezione di Cristo. Nella croce Cristo, così dice San Paolo, ha abbattuto il muro di separazione. Dandoci il suo Corpo, Egli ci riunisce in questo suo Corpo per fare di noi una cosa sola. Nella comunione del "Corpo di Cristo" tutti diventiamo un solo popolo, il Popolo di Dio, dove - per citare di nuovo san Paolo - tutti sono una cosa sola e non c'è più distinzione, differenza, tra greco e giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro, scita, schiavo, ebreo, ma Cristo è tutto in tutti. Ha abbattuto il muro della distinzione di popoli, di razze, di culture: tutti siamo uniti in Cristo... Quindi il concetto "Popolo di Dio" e "Corpo di Cristo" si completano: in Cristo diventiamo realmente il Popolo di Dio. E "Popolo di Dio" significa quindi "tutti": dal Papa fino all'ultimo bambino battezzato. Ogni battezzato è corresponsabile della missione di Gesù nel mondo.”...
 E' necessario, al tempo stesso, migliorare l'impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell'insieme di tutti i membri del Popolo di Dio. Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli «collaboratori» del clero a riconoscerli realmente «corresponsabili» dell'essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato. ... A queste nostre comunità non deve venir meno la consapevolezza che sono «Chiesa» perché Cristo, Parola eterna del Padre, le convoca e le fa suo Popolo. Questa coscienza comune di tutti i battezzati di essere Chiesa non diminuisce la responsabilità dei parroci. Tocca proprio a voi, cari parroci, promuovere la crescita spirituale e apostolica di quanti sono già assidui e impegnati nelle parrocchie: essi sono il nucleo della comunità che farà da fermento per gli altri... A queste nostre comunità non deve venir meno la consapevolezza che sono «Chiesa» perché Cristo, Parola eterna del Padre, le convoca e le fa suo Popolo.

Occorre continuamente riscoprire il senso vero della chiesa perché esiste, tra modo di pensare e di vivere la Chiesa e modo di essere dei laici in essa, una netta dipendenza:

se pensiamo la Chiesa come società, i laici sono destinatari di una azione di governo che può assumere varie forme a seconda delle tradizioni culturali, ma restano sostanzialmente funzionali al buon governo di essa, con incarichi più o meno definiti, più o meno circoscritti. L’ideale può essere l’efficienza, ma anche una corretta proposta di vita cristiana, ma tutto dentro una distribuzione di incarichi e un affidamento prevalente a capacità organizzative

se pensiamo la Chiesa come comunione, come sacramento dell’unione con Dio e della solidarietà tra fratelli, quindi nella sua dimensione sacramentale, di non riferimento a sé, ma a Dio, a Cristo e al mondo, nella sua dimensione di popolo, allora i laici sono una totalità organica nella diversità delle funzioni e nell’unità della comunione, un popolo sacerdotale, profetico e regale, con spazi necessari di esperienze di corresponsabilità, dove nessuno è unicamente passivo e nessuno è unicamente attivo. Non c’è competitività, ma complementarietà e corresponsabilità. La Chiesa non è solo espressione di vertice, ma di tutto il popolo di Dio e deve essere tradotta con livelli diversi di corresponsabilità in strutture adeguate;

se pensiamo la Chiesa come missione, si passa dalla contemplazione di un principio vitale quale l’accoglienza di un dono sempre più grande di ogni nostra realizzazione di esso, quale è la comunione, a incarnare la partecipazione al servizio, allo scopo per cui Gesù Cristo ha vissuto per il mondo. Comunione e missione sono una cosa sola, ma purtroppo talora la Chiesa non percepisce nella comunione la spinta dello Spirito. Infatti lo Spirito, mentre ci fa una cosa sola con Gesù, ci aiuta a vivere come lui i rapporti con il mondo. Si è in comunione con Cristo quando si diventa partecipi del servizio che Cristo rende al mondo per ricondurre il mondo nel progetto del Padre. Tutta l’attività missionaria quindi non è proselitismo, ma solo vivere come Gesù i rapporti con il mondo; è vivere la comunione ancora più in profondità, togliendole qualsiasi significato intimista, o introverso. Del resto ci si fa missionari del dono della comunione e si vive la comunione come prima necessaria forma di missione.

Indicazioni concrete
Tutta la missione che Dio affida all’Opera è compito di tutti, non solo dei religiosi e delle religiose. I laici non chiedono il permesso ai religiosi o alle religiose per operare, per proporre cenacoli, per diffondere il carisma, per santificasi, ma si mettono in comunione e ciascuno per la sua parte lavora per tutta la missione dell’opera. Condizione assolutamente necessaria è quella di fare corsi di formazione dei responsabili dei cenacoli, molto ben progettati, così da raggiungere nel giro di alcuni anni anche una sorta di abilitazione a fare da animatori, da responsabili dei cenacoli.
 Auspico una chiamata all’appello di tutti i cenacoli, attraverso una assemblea generale, che potrebbe essere un mercoledì alla udienza con il papa in Piazza San Pietro, così da dare impulso alla loro vita spirituale e dare gloria allo Spirito Santo.
 La gestione degli affari giuridici e della impostazione delle collaborazioni soprattutto per quanto attiene alle responsabilità civili è compito dei laici.